“Nessuno sa tutto, ognuno sa qualcosa”
Haemin Sunim
Ti ricordi quel momento dell’infanzia in cui si giocava a palla prigioniera? Ricordi le strategie che sviluppavi con i tuoi amici per vincere? Quel sentimento di essere una squadra?
Quei lampi di genio, quella fiducia negli altri, quel Carla corri a sinistra, quel Giorgio vai a destra era una stupenda coreografia naturale. È la stessa capacità che viene mobilitata durante una partita di calcio, in un’orchestra, ma anche all’interno di un gruppo di adulti che lavorano insieme a un progetto.
Tutti vengono coinvolti, apportano le loro competenze e contribuiscono
al progresso generale. È una dimostrazione di intelligenza collettiva, viva, creativa e immediata. Uno spettacolo raro.
Non uno scontro di menti brillanti, ma una condivisione di idee.
Oggi ci troviamo di fronte a sfide immense. Nessuno di noi può avere successo senza questo potere condiviso. Ma per trovarlo, per azionarlo, per riaccendere il nostro desiderio di vincere insieme, dobbiamo farci promotori dell’intelligenza collettiva.
L’intelligenza collettiva va oltre l’aggregazione di conoscenze individuali. Si tratta dell’abilità di un gruppo di individui di pensare, risolvere problemi e prendere decisioni insieme in modo più intelligente di quanto ognuno potrebbe fare da solo. La possiamo ritrovare negli insetti che vivono in colonie, in squadre di esseri umani in ambienti ravvicinati, al lavoro, in tempo di guerra o anche semplicemente per far funzionare una macchina del caffè.
La cosa difficile dell’intelligenza collettiva è renderla visibile nell’ambiente in cui viviamo.
In un campo da gioco, una squadra “sana” è legata da un progetto comune. Lo stesso vale per un progetto, professionale, familiare o sociale. Il difficile è che, per costruire una squadra sana, bisogna volerlo.
Di squadre che hanno fallito a causa della rivalità ce ne sono molte, magari te ne ricordi anche qualcuna nella tua storia di fan di sport. E sai cosa? La maggior parte delle volte il fallimento arriva perché non ci si conosce abbastanza, oppure non ci si fida, o ancora, non c’è un obiettivo comune, o ci sono interessi contrastanti, priorità diverse.
In una squadra “sana” circolano 3 cose importanti: la capacità di tolleranza, l’agilità e la risoluzione.
L’intelligenza collettiva va oltre l’aggregazione di conoscenze individuali. Si tratta dell’abilità di un gruppo di individui di pensare, risolvere problemi e prendere decisioni insieme in modo più intelligente di quanto ognuno potrebbe fare da solo. La possiamo ritrovare negli insetti che vivono in colonie, in squadre di esseri umani in ambienti ravvicinati, al lavoro, in tempo di guerra o anche semplicemente per far funzionare una macchina del caffè.
Innanzitutto, tolleranza.
Per far emergere l’intelligenza collettiva è necessario un ambiente in cui le idee possano circolare. Idee che vengono create attraverso i discorsi e il confronto.
Ci vuole molto di più di un brainstorming: c’è bisogno di discussioni accese, opinioni costruttive e la possibilità e la sicurezza di esprimerle.
Poi viene l’agilità.
L’etnografa Linda Hill lo spiega bene. L’agilità è la capacità di testare e migliorare tutte le idee che arrivano attraverso la riflessione e l’adeguamento reciproco. È un processo di apprendimento in cui il futuro non viene pianificato in anticipo. Al contrario, è un processo creativo che unisce il rigore del metodo scientifico alla creatività artistica.
Abbiamo bisogno di sperimentare, di provare, di fallire, di ricominciare.
In un esperimento, anche se il risultato non è quello che ci aspettavamo, avremo comunque imparato qualcosa di utile. Quando non funziona, non diamo la colpa a nessuno o a qualcosa in particolare. Al contrario, approfittiamo del fallimento per riprenderci, per adattarci, per trovare un nuovo modo di lavorare.